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Biblioteca Aldo Luppi

I cani di strada non ballano di Arturo Pérez-Reverte

  

I cani di strada non ballano di Arturo Pérez-Reverte


È per via dell'anice sversato nel fiume dalla distilleria che i cani del quartiere si riuniscono, di sera, all'Abbeveratoio di Margot. Oggi, tra un sorso e l'altro, serpeggia nell'aria la preoccupazione. Da parecchi giorni due di loro mancano all'appello: il ridgeback rhodesiano di nome Teo e il levriero russo Boris, detto Il Bello. Gli altri, i loro compagni, hanno intuito che la scomparsa nasconde qualcosa di sinistro e sono all'erta. E uno di loro, un meticcio con lo sguardo segnato dal sangue e dalla fatalità, un ex lottatore sopravvissuto a due anni di combattimenti feroci in un capannone di periferia, decide di cercarli. Il suo nome è Nero. Ha l'anima rappezzata e gli occhi da vecchio, cicatrici sul muso e nella memoria, ma da solo intraprende il viaggio, la sua nuova ricognizione nelle cattiverie della vita. Una compagnia di personaggi duri e beffardi, sui quali si staglia un meticcio coraggioso e solitario che si muove in un mondo diverso da quello degli umani, dentro il quale valgono soltanto le migliori regole della lealtà e dell'appartenenza. Un mondo che a volte ha clemenza per gli innocenti, e una giustizia per chi è colpevole.


La storia è un'epopea classica. Si era ritirato Nero, incrocio tra mastino spagnolo e un fila brasilero, sopravvissuto allo scannatoio e ormai in pensione con un lavoro sicuro "da guardia".
Per  affrontare i suoi demoni e adempiere a un patto di amicizia sceglie di tornare nell'arena. 
Una storia narrata in prima persona,  con tutti i sensi, come si conviene a una storia di cani e come riesce tanto bene alla migliore narrativa spagnola.
Una storia cruda, violenta, niente sfumature, solo azione e reazione ma con una saggezza asciutta di fondo.
Arturo Pérez Reverte, per vent'anni reporter di guerra in Libano, Eritrea, isole Falkland, Nicaragua, Mozambico, Romania e Bosnia, svela, in parte, la sua metafora durante una presentazione del suo libro.
Esiste un valore, una  necessità della lotta.  
E' bello vivere in pace, la verità è che devi essere in guerra permanente, perché viviamo in un luogo pericoloso e ostile, non importa quanto i giovani pensino che tutto sia alla loro portata e  gratuito.  Non è vero: il territorio vinto è costato sudore e sangue.  Dimentichiamo che siamo chiamati costantemente a difendere le libertà conquistate.
"Spartacus deve sempre essere presente, vero è che qualsiasi idiota può chiamarsi Spartaco, ma il valore del nome non si guadagna scrivendo tweet".

Lo consiglio vivamente.
Pagina aggiornata il 04-12-2020 da Biblioteca Luppi - Pagina visualizzata 1433 volte